Author: Giuseppe Francese
La narrazione costituisce la prospettiva interpretativa secondo cui viene esposta una determinata tematica. Bisogna considerare che essa non è mai completamente neutra e molto spesso viene utilizzata per legittimare operazioni politiche e avvalorare ideologie, convincendo l’opinione pubblica di ciò che serve per guadagnare consenso.
La narrazione storicamente dominante è quella eurocentrica: l’Occidente si è arrogato il diritto di narrare la storia del mondo ad esso circostante, elevando le proprie categorie a criterio di paragone con quelle altrui. I motivi per cui ciò ha potuto avere luogo sono essenzialmente di natura politica e socioeconomica (si pensi alla lunga e sanguinosa storia coloniale europea, caratterizzata da molteplici politiche imperialistiche
attuate nel corso dei secoli). Ciò ha inevitabilmente comportato la rappresentazione mendace di macroaree vastissime e spesso molto distanti spazialmente e culturalmente, a cui è stato negato il diritto di autodeterminarsi. Un tipo particolare di narrazione eurocentrica è quella orientalistica, che identifica la rappresentazione occidentale degli aspetti socioculturali della macroarea comprendente l’Africa settentrionale e l’Asia sud-
occidentale (erroneamente “Medio Oriente”). Si tratta di una tesi sostenuta dall’intellettuale Palestino-americano, Edward Said (1935-2003) nel saggio del 1978 “Orientalism”. Il concetto di base che dà forma a questa tesi è la storica dicotomia Occidente civilizzato, prospero e mentalmente aperto, e Oriente arretrato, povero e sottosviluppato. La funzione di questo genere di narrazione, proposta da diversi secoli, è l’autoaffermazione dell’Occidente, mentre lo scopo pratico ricercato è quello di giustificare il controllo e l’influenza che esso esercita in questi territori, come si evince da numerose azioni politiche (Si ricorda il concetto di “esportazione della democrazia” in Afghanistan, per giustificare l’intervento militare illegittimo
operatovi da US e UK) messe in atto dall’Occidente e come sostiene lo stesso Said.
È particolarmente emblematico in questo contesto il celebre testo “Le mille e una notte” , tradotto e largamente rivisto nel 1704 da Antoine Galland, orientalista e archeologo francese, mediante un approccio estremamente esotizzante.
L’orientalista italiano Francesco Gabrieli ne parla come di una materia “livellata se non fusa sotto una patina unitaria, che le dà un aspetto letterariamente abbastanza uniforme”. Gabrieli si riferisce ad una patina più musulmana che araba, dato che quanto concerne la civiltà araba è temporalmente sconnesso e anacronistico. L’aspetto relativo alla patina è fondamentale per comprendere le generalizzazioni operate dagli europei sull’identità araba, un mix di esotismo e turcherie, tra il XVIII e il XIX.
Lo stesso Edward Said si esprime sull’approccio profondamente eurocentrico attraverso cui Galland studia e rivede il suddetto testo, e sulla figura dell’orientalista: “Quando Galland afferma che l’opera di d’Herbelot soddisfa le aspettative del pubblico, intende dire a mio avviso che essa non mira a una revisione delle più diffuse opinioni sull’Oriente. Ciò che l’orientalista fa, è confermare l’Oriente agli occhi del lettore; egli non tenta né vuole scuotere convinzioni già consolidate.” Said fa chiaramente riferimento alla figura dell’orientalista nel secolo dei lumi: secondo lui, lungi dal considerare l’Oriente e l’Occidente sullo stesso piano.
The Babylonian Marriage del pittore inglese Edwin Long costituisce un chiaro esempio di rappresentazione orientalistica nel panorama delle arti visive di fine Ottocento: il dipinto è caratterizzato da un’atmosfera impregnata di esotismo, mistero e erotizzazione; da notare la mistificante disposizione delle donne in fila, ordinate da destra a sinistra secondo un principio di whiteness, che vede quelle più bianche prossime al matrimonio.
Alla luce delle considerazioni esposte sembrerà molto meno paradossale l’origine della stessa espressione “Medio Oriente”. La sua prima attestazione risale al 1900 a opera del generale inglese Sir Thomas Edward Gordon. Consequenzialmente, la sua natura può essere definita come un’astrazione artificiale occidentale, nata nell’ambito strategico-militare e diffusasi poi nell’ambito accademico (prima in Occidente, e poi in misura minore in Oriente).
Oggi, questa espressione geopolitica fa riferimento, come sopraccennato, alla macroarea che si estende dal Marocco fino all’Afghanistan e continua ad essere ampiamente utilizzata sia dal senso comune, sia negli ambiti specialistici.
A favore della sua validità vi sono un punto di vista storico, in quanto l’area coincide sia con la prima ondata di invasioni arabo-islamiche, sia con i tre più grandi imperi musulmani (Omayyade, Abbaside e Ottomano), e due elementi culturali: far parte dell’area assoggettata alla civilizzazione islamica e il riconoscimento ufficiale (almeno in gran parte di essi) della lingua araba, riservata esclusivamente all’uso formale (principalmente istituzionale).
Si tratta, tuttavia, di condizioni non sufficienti per continuare a parlare di Medio Oriente nel ventunesimo secolo: i suoi limiti per l’attuale comprensione geopolitica sono evidenti da tempo.
Dopo la caduta dell’Impero Ottomano l’assetto sociopolitico di questa macroarea è irrimediabilmente mutato: sono emersi governi fortemente nazionalistici; si è verificata una progressiva diversificazione in ogni ambito sociale (inteso in senso ampio); si sono sviluppati numerosi movimenti laicisti. Per cui, gli orientamenti attuali di questi paesi mostrano più diversità che unità. Sebbene una narrazione culturalmente appropriata richieda l’abbandono delle espressioni eurocentriche Vicino, Medio ed Estremo Oriente, ciò sarebbe impensabile per una questione di praticità. Tuttavia, una sostituzione progressiva mediante l’utilizzo dei termini denotativi appropriati, applicabile ove possibile, potrebbe essere un punto di partenza valido.
Per quanto concerne le rappresentazioni orientalistiche contemporanee, ne troviamo un esempio pratico nella trasposizione cinematografica di Aladdin (2019) della Walt Disney Pictures, remake dell’omonimo film Disney del 1992, basato sull’omonimo racconto de Le mille e una notte. Per sua indole l’Orientalismo presenta la tendenza alla contraddizione e all’ambiguo, e questo film lascia trasparire molto chiaramente questo tratto:
1. Ambientazione: la storia è ambientata nella città fittizia di Agrabah, la quale presenta un miscuglio di elementi urbanistici e architettonici propri di luoghi estremamente distanti culturalmente tra loro (Marocco, India settentrionale, Istanbul), ma indispensabili all’esotizzazione associata alla realtà della fantomatica macroregione.
2. Riferimenti temporali: la musica è inaccurata rispetto al periodo di riferimento; la riproduzione del Taj Mahal (distante anche spazialmente e culturalmente), un mausoleo Moghul dell’India settentrionale, realizzato nel diciassettesimo secolo (diversi secoli dopo la collocazione temporale della storia).
3. Abbigliamento: sebbene gran parte della storia si svolga nel deserto (leitmotiv orientalistico per eccellenza), molti personaggi sono abbigliati in maniera completamente inappropriata (relativamente alle condizioni climatiche).
4. Nomi dei personaggi: alcuni di essi sono insensati, mentre altri sono pronunciati in maniera errata (ne è d’esempio lo stesso Aladdin).
Vi sono, inoltre, numerosi riferimenti all’inciviltà e all’assenza di leggi che dominano queste terre esotiche e lontane (ad esempio, nella prima canzone della soundtrack del film, Arabian Nights: “It’s barbaric, but hey, it’s home”), e alla figura della seduttrice orientale capace di ammaliare gli uomini (la figura di Jasmine). Tra l’altro quest’ultimo elemento stona con l’idea generale di repressione sessuale femminile, mentre ciò resta in linea con la tendenza alla contraddizione della narrazione orientalistica.
In seguito agli attentati del 2001, tuttavia, nella rappresentazione di queste realtà sono sopraggiunti nuovi stereotipi, relativi alla guerra santa e all’azione terroristica.
Nell’ambito della strumentalizzazione dell’Orientalismo a fine ideologico è possibile collocare il discorso sullo sfruttamento dei sentimenti islamofobici a scopo politico e propagandistico.
Nel discorso mediatico l’Islam viene etichettato quasi automaticamente come fondamentalismo e associato fin troppo spesso al terrorismo. Si tratta di uno degli espedienti creati appositamente per rafforzare le generalizzazioni discriminatorie a sfondo islamofobico nell’opinione pubblica, al fine di evitare qualsiasi tentativo di fare chiarezza e di definire il reale significato di questi concetti.
Svizzera, un manifesto dell’UDC diretto al burqa e al niqab. [Fabrice COFFRINI / AFP]
In questo senso, l’Orientalismo diventa un vero e proprio strumento di dominio delle masse, che permette alle potenze occidentali di gestire le loro azioni politiche in campo estero, giustificando il proprio predominio e lo sfruttamento operato ai danni delle popolazioni non europee. Si pensi al white saviorism (Pattern che vede le persone bianche come eroi capaci di salvare gli individui BIPOC). Seguendo questo schema, ciò avverrà non solo mediante azioni di forza, ma anche mediante il consenso ideologico del popolo.
In conclusione, l’Orientalismo, come ogni forma di discriminazione sistemica, ha come conseguenza l’interiorizzazione dei pregiudizi che ha perpetuato nei secoli e che continua a perpetuare.
Nessuno ne è esente.
L’unica soluzione adottabile è dare finalmente ascolto ai reali protagonisti di queste narrazioni e analizzare consapevolmente la realtà circostante, in modo da controllare i propri bias cognitivi e, in un prospetto più ampio, contribuire ad un eventuale cambiamento di narrazione.
Bibliografia:
Said, E. (1978). Orientalism. Penguin Books.
Gabrieli F. (a cura di). (1948). Le Mille e una notte. Collana i millenni. Einaudi.
Keddie, N. R. (1973). Is There a Middle East? . International Journal of Middle East Studies, 4(3), 255-271.
Hall, S. (1997). Representation: cultural representations and signifying practices. The Open University.
Sitografia:
(2021,07,03). La Suisse vote pour l’interdiction de la burqa dans l’espace public. https://www.cnews.fr/ .
(1875) Long, E. The Babylonian Marriage Market. https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Babylonian_marriage_market.jpg