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SYRIAN-LEBANESE DIASPORA: TWO DIFFERENT TRAJECTORIES.

Author: Giuseppe Francese

Con il termine Mahjar si è soliti indicare l’eterogeneo movimento letterario costituito da numerosi intellettuali arabofoni, emigrati in America durante la diaspora siro-libanese, avvenuta tra la fine dell’Ottocento e gli anni Trenta del Novecento.
In senso ampio, invece, sta ad indicare in maniera molto rappresentativa la diaspora stessa.

All’inizio dell’arco temporale succitato, le tensioni scaturite da diversi conflitti di carattere etnico-religioso e le forti pressioni socio economiche spinsero un numero sempre crescente di siriani e libanesi (e in parte minore palestinesi) ad abbandonare la propria terra d’origine, per tentare la strada dell’emigrazione in Brasile e negli Stati Uniti d’America.
Infine, non bisogna sottovalutare il peso emotivo giocato dalle numerose storie di successo economico raggiunto dai loro compatrioti precedentemente emigrati.
La maggior parte di loro era convinta di restare esclusivamente per accumulare del denaro, e poi ritornare a casa; così, nei paesi ospitanti, i mahjari cominciavano a lavorare come venditori ambulanti.
Tuttavia, nonostante avessero origini, caratteristiche e inizi comuni, le successive esperienze degli immigrati siriani e libanesi in Brasile e negli Stati Uniti furono molto diverse.
Prima di tutto, bisogna tenere presente che negli anni Venti, a causa della Prima guerra mondiale l’attività di spaccio entrò in un lungo declino. Nel frattempo, però, le persone cominciarono ad abbandonare la speranza di tornare a casa, iniziando a dare fiducia al nuovo paese.

In Brasile, almeno per coloro che sono venuti prima, lo spaccio si è rapidamente evoluto nel commercio al dettaglio e poi nella vendita all’ingrosso e nella produzione.
Un’indagine degli anni Trenta e Quaranta mostra che i siriani e i libanesi in Brasile, diventarono responsabili del 50% del capitale totale investito nell’industria tessile di San Paolo; di conseguenza, le loro aziende raggiunsero posizioni sempre più prominenti nell’economia del paese (il che ha comportato una significativa mobilità sociale ed economica verso l’alto per gran parte delle famiglie).
Sebbene anche negli Stati Uniti lo spaccio si fosse spesso evoluto in negozi al dettaglio di proprietà (spesso in affari con le stesse famiglie che li rifornivano da venditori ambulanti), e nella zona intorno a Detroit eccellessero nel business della spesa, i siro-libanesi emigrati in Nordamerica conobbero una sorte diversa, in linea di massima caratterizzata da mediocrità e occupazioni intermedie, senza mai dominare realmente alcun settore commerciale specifico (nonostante il successo di diverse famiglie nella produzione tessile, nell’area metropolitana di New York).
La piena comprensione di questi diversi scenari necessita dell’analisi di alcuni fattori che hanno caratterizzato le loro esperienze: il numero della popolazione entrante; alcuni caratteri dei territori ospitanti; l’integrazione e la socialità.

Innanzitutto, ci sono prove considerevoli del fatto che in entrambi i paesi sia giunto lo stesso genere di immigrati, in modo che la selettività differenziale (gruppi diversi che scelgono paesi diversi) possa essere scartata come fattore. Secondo l’opinione di alcuni studiosi, ad alcuni dei pionieri emigrati in Brasile fu probabilmente inizialmente rifiutato l’ingresso negli Stati Uniti, a causa di problemi legali o di salute. Piuttosto che tornare nella loro terra natale, molti di loro preferirono andare in Sud America, in particolare in Brasile, e in minor parte in Argentina.
I dati sulla quantità numerica della popolazione entrante vanno considerati in relazione al numero totale di immigrati di ogni nazionalità. Considerando i dati assoluti, si evincerà che la fetta maggiore sia giunta negli USA, mentre se consideriamo i dati relazionandoli alla quantità di immigrati di altre nazionalità, possiamo notare che mentre negli USA i siro-libanesi corrispondessero allo 0,67 per cento del totale di immigrati, in Brasile la loro immigrazione non è stata diluita dal volume della diversità. Anche il clima sociale e lo stato delle relazioni interetniche hanno svolto un ruolo in questo processo.

In Brasile, gran parte della socializzazione del gruppo, principalmente negli strati medi e alti, ebbe luogo in club rivali, associazioni e istituzioni fondate dalla colonia. Negli Stati Uniti, poiché i giovani tendevano a considerarsi americani, condividendone sempre di più l’identità, avevano poco interesse a perpetuare le esperienze lontane dei loro antenati. Al contrario: molti di loro tendevano a adottare un atteggiamento piuttosto imbarazzato nei confronti dei loro genitori immigrati, analfabeti e umili lavoratori. Pertanto, il conflitto intergenerazionale sembrava essere più acuto negli Stati Uniti che in Brasile.
Insieme alla creazione di club e società, in entrambi i paesi è emersa anche una vigorosa stampa immigrata. Beverly Mehdy conta un totale di 102 giornali e periodici in lingua araba negli Stati Uniti nel periodo tra il 1898 e il 1929; in Brasile, Zeghidour ne ha elencati quasi 400 esistenti tra il 1890 e il 1940. Sebbene numerosi, la maggior parte di essi non durò a lungo in nessuno dei due paesi. Per quanto riguarda le relazioni etniche e la stratificazione nei due paesi, appaiono sia somiglianze che differenze.

Tra le somiglianze, possiamo elencare la colonizzazione europea, la presenza di immigrati europei e la tratta degli schiavi. Tuttavia, i due sistemi contrastano fortemente per alcuni fattori importanti: prima di tutto, bisogna considerare la dominanza di una categoria etnica mista in Brasile, che aveva come conseguenza l’affievolimento della percezione delle differenze etniche, e che rese più faticoso sostenere le ideologie razziali. Ciononostante, anche se in misura minore, il colore della pelle non ha mai smesso di costituire motivo di discriminazione, a discapito dei più neri. Ad ogni modo, il pregiudizio sociale assunse progressivamente uno stile meno istituzionalizzato e meno accettato socialmente, rispetto agli Stati Uniti. Queste circostanze ridussero i problemi legati all’assimilazione, che sembrano essere stati meno forti in Brasile; agli inizi del Novecento, l’idea liberale che la società statunitense potesse accogliere a braccia aperte qualsiasi nuovo arrivato iniziò a vacillare: il rapido arrivo di un gran numero di immigrati troppo diversi dal tipo medio nazionale, smentì sempre di più la nozione di melting-pot, fino ad allora fortemente sostenuta. Dal 1890 in poi si cominciò a sostenere che i nuovi immigrati fossero innatamente inferiori e razzialmente inassimilabili: incarnavano l’immagine stereotipata che le teorie biologiche e pseudoscientifiche contemporanee avevano classificato come tipi inferiori che avrebbero diluito la purezza razziale.

È difficile stabilire con precisione in che misura una situazione del genere abbia pregiudicato un gruppo etnico specifico, ma secondo Alixa Naff, storica americana di origine libanese (parte della second generation), ciò è stato determinante nel quadro di una comparazione tra i due paesi: non c’è dubbio sul fatto che i siro-libanesi abbiano dovuto affrontare una situazione ideologicamente più avversa negli Stati Uniti che in Brasile.
Ad ogni modo, bisogna specificare che secondo l’intellettuale palestinese Tannous Izzat, in entrambi i paesi il fattore che ha condizionato e interessato di più i mahjari sono state le barriere sociali che i bianchi della classe media e superiore hanno stabilito tra loro e gli immigrati.

Bibliografia:

Truzzi, Oswaldo M. S. “The Right Place at the Right Time: Syrians and Lebanese in Brazil and the United States, a Comparative Approach.” Journal of American Ethnic History, vol. 16, no. 2, University of Illinois Press, 1997, pp. 3–34.

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